“Se il Monviso (o Monte Viso che dir si voglia) viene chiamato anche Re di Pietra un motivo ci sarà” penso tra me e me mentre con Andrea ci dirigiamo verso il Pian della Regina. E in che altro modo poteva essere chiamato, visto che già da Torino si vede svettare la sua possente mole triangolare tra tutte le cime vicine?
Vista da sotto, poi, la sua mole è ancora più impressionante. La parete Nord svetta imperiosa sopra i verdi pascoli del Pian del Re e del Pian della Regina e, con i suoi 1200mt di dislivello, è una tra le pareti più alte di tutte le Alpi. Nel mezzo è solcata da un lungo, lunghissimo canalone, salito per la priva volta da W.B.A. Coolidge, con Christian e Ulrich Almer nel luglio del 1881. Sì, non ho fatto errori di battitura: si tratta proprio del 1881!
Ed è così che mi ritrovo in macchina in direzione Monviso, non senza un po’ di apprensione. È stata una primavera molto nevosa e le alte temperature notturne non permettono un rigelo della neve ottimale. L’esito del viaggio non è di certo scontato!
Salita al bivacco Villata Falchi da Pian della Regina
Arrivati al Pian della Regina delle nuvole abbastanza consistenti ci permettono di vedere solo a tratti la montagna. Indossiamo gli zaini e ci dirigiamo in direzione del bivacco Villata – Falchi. La neve marcia del pomeriggio non agevola di sicuro l’avvicinamento, già di per sè lungo. Battere la traccia è veramente stancante. Per fortuna che abbiamo con noi le ciaspole! Le nuvole che vanno e vengono e l’assenza totale di tracce umane rendono l’ambiente circostante unico e particolare.
Il bivacco è appollaiato su un piccolo sperone di roccia, attorniato tutto intorno da salti rocciosi. La neve del periodo rende le pareti ancora più ripide: non c’è un metro quadrato di piano davanti al bivacco, ora sepolto dalla neve. Più che un bivacco è un vero e proprio nido d’aquila! Come prevedibile l’accesso è sbarrato dalla neve. Spalare la neve che si è accumulata davanti la porta mi richiede oltre mezz’ora di lavoro, ma finalmente riusciamo ad entrare. Il resto è la solita, bellissima, routine: preparazione della cena, scioglimento della neve, check del materiale per l’indomani e, finalmente, riposo.
La salita del Canalone Coolidge alla parete Nord del Monviso
È ancora buio quando lasciamo il bivacco. Siamo partiti molto presto per sfruttare al massimo il modesto rigelo notturno della neve ed evitare il più possibile le scariche di sassi che in genere interessano questo versante della montagna. Saliamo sfruttiamo il più possibile le rigole di neve dura create dalle valanghe, che cadendo hanno compattato e ghiacciato la neve. Le condizioni sono buone, molto meglio di quello che avevamo previsto in questa primavera eccezionalmente nevosa! Velocemente saliamo di quota.
Man mano che salgo guardo avidamente verso sinistra per individuare il canale che permette di accedere al ghiacciaio superiore del Monviso e, quindi, alla seconda parte della salita. Quando si è in mezzo a pareti così grandi è sempre difficile riuscire ad individuare la giusta via da seguire.
Ma anche questa volta, con un po’ di intuito e di fortuna (sì, ci vuole anche questa), trovo il passaggio giusto. I ripidi salti sono tutti coperti da neve compatta, che rende la progressione agevole ma difficilmente proteggibile. Alternando tratti in conserva a brevi tiri siamo fuori dalle prime difficoltà. Siamo ora sul ghiacciaio superiore, un vero e proprio ghiacciaio annidato nel bel mezzo della ripidissima parete nord del Monviso. Ormai è l’alba e i primi raggi del sole illuminano il panorama attorno a noi. L’ambiente è bellissimo. Vivere l’emozione dell’alba in alta quota regala sempre emozioni uniche!
Vediamo in alto la grande barra rocciosa che sostiene la cima. La via Coolidge percorre il canale di sinistra. Risalendo il ghiaccio superiore le condizioni cambiano: non siamo più incassati in uno stretto canalone, ma percorriamo un ampio, ripido pendio. Le valanghe qui non hanno ancora creato i tipici solchi (o rigole), perfetti per questo di salite. Sprofondiamo maggiormente e siamo costretti a rallentare la nostra velocità di ascesa. È comunque ancora molto presto, il panorama attorno è stupendo ed il morale alle stelle! Spero solo che quando entreremo nel canale Coolidge Superiore le condizioni migliorino.
Purtroppo però le condizioni con decidono a migliorare. Saliamo tutto il canalone, fino ad arrivare sulla cosiddetta “Corda molla”, una cresta ripida ed affilata che permette di raggiungere la parte finale della salita. Per fortuna dei tratti di neve un po’ più compatta si alternano a lunghi tratti di neve morbida, permettondoci di tirare un po’ il fiato. O meglio, ci permettono di risparmiare un po’ di fatica! Mano a mano che saliamo, però, le condizioni vanno via via peggiorando.
Dopo la Corda Molla, comincia la terza parte della salita, che segue un tratto di canalone verso destra. La pendenza è sempre sui 55-60°, ma si impenna un centinaio di metri prima della fine. Continuiamo a salire, ma sono un po’ preoccupato per l’ultimo tratto di canale, quello più ripido. Con queste condizioni non sarà per nulla semplice. Arrivato alla base di quest’ultimo, i timori si trasformano in certezze. Neve fresca inconsistente ricopre abbondantemente la roccia, nascondendo appigli e appoggi.
Ricomincio a salire, pulendo centimetro per centimetro la neve dalla roccia, alla ricerca di qualche asperità per incastrare le piccozze ed i ramponi. Le difficoltà tecniche di questo tratto non sono elevatissime, ma l’esposizione, la cattiva qualità della neve e la difficoltà nel proteggersi rendono le cose completamente diverse. È questione di stare concentrati e, per quanto possibile, rilassati.
Alcuni tratti aleatori mi impegnano non poco, ma lentamente riesco a procedere. Ormai vedo la cresta a poche decine di me. Un breve ma delicato traverso verso destra è l’ultima difficoltà. Superatolo, un breve pendio mi permette di arrivare in cresta. Per fortuna, in questo ultimo traverso sono riuscito a proteggere i tratti più difficili con dei friend, permettendo ad Andrea di procedere con più sicurezza. Finalmente sono in cresta!
La cima dista solo un centinaio di metri di dislivello ma la stanchezza e la neve marcia ci fanno procedere lentamente. Per maggior sicurezza progrediamo a tiri. Bisogna rimanere concentrati anche in questa fase. La cima sembra non arrivare mai!
Finalmente, aggirando un torrione sulla destra scorgo la croce di vetta a poche decine di metri da me! Vetta! Finalmente possiamo riposarci un attimo. L’ultima parte di salita, a causa della molta neve fresca, ci ha decisamente stancato. Mangiamo un pezzo di barretta energetica, beviamo un sorso d’acqua e ammiriamo il panorama attorno a noi a dir poco stupendo!
Discesa al bivacco Andreotti lungo la via normale al Monviso
Anche se sono solo le 10 di mattina, non abbiamo molto tempo. Il sole sta rapidamente marcendo la neve e la discesa è ancora lunga e tecnica. Velocemente ripartiamo, seguendo la via normale estiva. Per fortuna in discesa è un po’ meno faticoso procedere.
La via normale si svolge in una parete molto complessa e ci vuole la massima attenzione per trovare la via giusta. Salti di roccia, canalini e pendii più o meno grandi si susseguono continuamente. Ovviamente di tracce umane neanche l’ombra.
“Chissà da quanto nessuno sale in cima al Monviso”, penso tra me e me, “probabilmente dallo scorso autunno!” è la logica risposta. Seguendo qualche segno sulla roccia e la traccia del GPS perdiamo via via quota, anche se non manca qualche piccolo errore, che ci fa perdere tempo ed energie preziose. Per fortuna avevo la traccia di discesa GPS caricata sul mio dispositivo Garmin!
Il versante è veramente molto complesso, specie se non lo si conosce. Tratti di arrampicata si alternano a ripidi pendii di neve. Qui il terreno è troppo ripido per indossare le ciaspole e ci tocca annaspare sulla neve fonda. Dopo tre ore arriviamo finalmente al bivacco Andreotti. Una pausa per riposarci è d’obbligo! Diamo fondo a tutte le riserve di acqua e cerchiamo di mangiare qualcosa. Le difficoltà tecniche sono quasi finite, ma il rientro è ancora molto lungo.
Bivacco Andreotti – passo delle Sagnette – rifugio Quintino Sella
Sono ormai le 13 passate quando ricominciamo a camminare e la neve ormai è profonda e marcia. Proseguire è veramente faticoso. Ma, visto che non abbiamo alternativa, continuiamo a camminare senza fiatare, cercando le zone in cui la progressione è più agevole e meno faticosa. Scendiamo verso il vallone delle Forciolline e risaliamo al passo delle Sagnette. Qui rimettiamo i ramponi e ci rileghiamo con la corda. Dobbiamo scendere lungo un tratto di via ferrata. I cavi sono per lunghi tratti sepolti sotto la neve e di certo questo non agevola la progressione. Dopo non molto, ci lasciamo alle spalle anche le ultime difficoltà tecniche e arriviamo al rifugio Quintino Sella.
Anche se la fatica si fa decisamente sentire, il morale è alto. Stiamo vivendo una bellissima giornata, abbiamo salito una bellissima via e l’ambiente attorno è un qualcosa di spettacolare. Ma non solo: abbiamo passato due giorni letteralmente in mezzo alle montagne, da soli, senza alcuna traccia umana, vivendo una bellissima Avventura. Non possiamo che essere molto soddisfatti!
Raccolgo le ultime forze che mi rimangono, mi alzo in piedi, mi carico sulle spalle il pesante zaino e ricomincio a battere traccia. Per raccogliere le energie, mi immaginano seduto su una comoda sedia a bere una bella birra media e a mangiare una succulenta pizza. Finalmente raggiungiamo la traccia che avevamo battuto il giorno prima. Ora è proprio finita: basta solo stringere i denti ancora un po’!
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La descrizione scorrevole ha fatto percepire le emozioni che avete intensamente vissuto. Bravi
Grazie mille per il bellissimo commento! Seguiranno molti altri racconti!
Bellissimo racconto che da l’impressione di essere stati li con voi.